Psicologia

Perché alcune persone hanno paura dei buchi ravvicinati?

Perché alcune persone hanno paura dei buchi ravvicinati?

Hai mai guardato una spugna, un alveare o persino una fragola e sentito un brivido strano correrti lungo la schiena? Non sei solo. Milioni di persone in tutto il mondo provano una sensazione di disagio, se non vero e proprio terrore, di fronte a immagini con piccoli buchi ravvicinati. È la famigerata tripofobia, un fenomeno che fa più scalpore di quanto si possa immaginare, e che oggi cercheremo di sviscerare con la serietà di un professore e la leggerezza di chi ama fare due chiacchiere al bar. Perché questa reazione così viscerale? C’è una spiegazione scientifica o è solo una di quelle stranezze della mente umana? Preparatevi a scoprire il perché, perché questo viaggio nella percezione e nell’ansia sarà tutto tranne che noioso.

L’enigma dei buchi: cos’è davvero la tripofobia?

Diciamocelo chiaramente: quando parliamo di tripofobia, non stiamo descrivendo la paura dei ragni, delle altezze o dei serpenti, quelle fobie “classiche” che tutti conoscono. La tripofobia, o più precisamente il disgusto verso i pattern di buchi o protuberanze ravvicinate, è qualcosa di più sottile e, per certi versi, bizzarro. Pensate ai favi di un’ape, alla pelle di una mela in cui sono stati trafitti tanti piccoli fori, o persino a certe texture di tessuti. Se solo a pensarci vi vengono i brividi, state forse entrando nel club.

Molti la definiscono una fobia, ma gli studiosi dibattono ancora sulla sua classificazione ufficiale. Non compare nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), ma questo non significa che non sia una reazione reale e debilitante per chi la prova. Il disagio può manifestarsi con sintomi fisici come prurito, nausea, tachicardia, ma anche con un forte senso di ansia e repulsione. Insomma, non è una semplice “schifiltà” momentanea, ma una risposta emotiva e fisica intensa.

Radici profonde o solo una questione di “brutti” pattern?

Ma da dove nasce tutta questa paura? I ricercatori, come dei detective di fenomeni strani, hanno avanzato diverse ipotesi. Una delle teorie più affascinanti, e che ci piace parecchio per la sua originalità, collega la tripofobia a un’antica e profonda reazione evolutiva. Avete presente quando vedete un ragno velenoso o un serpente con un disegno particolare sulla pelle? Ecco, alcuni pattern di buchi ravvicinati potrebbero, in modo inconscio, richiamare alla nostra mente questi stimoli pericolosi.

Immaginate i fori su una pelle malata, o certe creature che ci hanno sempre minacciato. Il nostro cervello, sempre vigile per la nostra sopravvivenza, potrebbe aver sviluppato una sorta di “allarme” automatico per questi pattern, scatenando una reazione di disgusto o paura per tenerci lontani da potenziali pericoli. È come se il nostro cervello dicesse: “Ehi, questo fa schifo e forse è pericoloso, allontanati!”. Certo, oggi la maggior parte degli stimoli tripofobici sono innocui, ma l’allarme è rimasto.

Pattern visivi e il cervello che si “impalla”

Un’altra prospettiva si concentra sulla percezione visiva stessa. Alcuni scienziati suggeriscono che i pattern associati alla tripofobia condividano determinate caratteristiche matematiche o visive che il nostro cervello trova intrinsecamente fastidiose o difficili da elaborare. Pensate a un’immagine che vi crea una sorta di “cortocircuito” visivo, rendendola scomoda da guardare a lungo. Questi pattern, ripetitivi e densi, potrebbero sovraccaricare i nostri circuiti neurali deputati all’elaborazione visiva, generando un senso di disagio.

È un po’ come ascoltare un rumore ripetitivo e leggermente fuori tono che vi irrita senza motivo apparente. Il cervello non “gradisce” quella specifica configurazione visiva e reagisce di conseguenza. Non c’è un predatore dietro, ma la nostra percezione è così “influenzata” da questi pattern che il risultato è simile a quello di un vero pericolo. La mente è un luogo complicato, non trovate?

Tripofobia vs. Disgusto: dove finisce uno e inizia l’altro?

È importante distinguere la tripofobia dal semplice disgusto per qualcosa di “brutto” o “disordinato”. Il disgusto è una reazione emotiva a qualcosa che troviamo sgradevole, mentre la tripofobia è una risposta più specifica e spesso involontaria a determinati pattern visivi. Per esempio, uno potrebbe provare disgusto per una macchia di fango, ma non necessariamente per una spugna. Chi soffre di tripofobia, invece, potrebbe provare un’intensa reazione di ansia proprio di fronte a quest’ultima.

Possiamo quasi creare una piccola tabella per capire meglio le sfumature. Non sarà il Nobel, ma aiuterà a fare chiarezza.

Caratteristica Tripofobia Disgusto Comune
Stimolo Pattern di buchi/protuberanze ravvicinate Ampia gamma di stimoli sgradevoli (sporcizia, odori, ecc.)
Reazione Ansia, prurito, nausea, repulsione specifica Disagio, repulsione generale
Base Probabilmente evolutiva/percettiva specifica Apprendimento sociale, igiene, esperienze personali

Un aiuto per chi si sente “infestato” dai buchi

Se la tripofobia vi causa un disagio significativo, sappiate che non siete soli e che esistono modi per gestirla. Come per altre fobie e disturbi d’ansia, la terapia psicologica può essere molto efficace. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT), ad esempio, aiuta a identificare e modificare i pensieri irrazionali e le risposte emotive esagerate. L’esposizione graduale, sotto la guida di un professionista, può aiutare a desensibilizzare la mente agli stimoli temuti.

Inoltre, la consapevolezza è il primo passo. Capire che si tratta di una reazione legata alla percezione e all’evoluzione, piuttosto che a un pericolo reale, può già alleviare parte dell’ansia. E se proprio non riuscite a guardare una fetta di formaggio svizzero senza sentirvi male, beh, forse è ora di passare a un buon pecorino stagionato. L’ironia, a volte, è la migliore delle medicine.

Quindi, la prossima volta che vi trovate di fronte a un nido d’api o a un pezzo di formaggio bucherellato, ricordatevi che non siete pazzi. La vostra mente sta solo reagendo a un antico segnale che, forse, un tempo ci teneva al sicuro. E ora, se permettete, vado a cercare qualche immagine di buchi per… ehm, per fare ulteriori ricerche scientifiche, ovviamente!

Domande frequenti

La tripofobia è una vera fobia?

Sebbene non sia formalmente inclusa nel DSM come fobia, la tripofobia causa reazioni di ansia e disagio molto reali. Molti la considerano una forma di fobia o un disturbo del disgusto specifico, data la sua natura e l’impatto sulla vita di chi ne soffre.

Cosa scatena la tripofobia?

Sono soprattutto pattern visivi con piccoli buchi ravvicinati o protuberanze simili, come quelli presenti in favi, spugne, coralli o persino in alcuni alimenti e tessuti. La percezione di questi pattern innesca la reazione.

Perché alcune persone hanno paura dei buchi ravvicinati?

Le teorie suggeriscono possibili radici evolutive, collegando questi pattern a pericoli naturali (pelli malate, animali velenosi), o spiegazioni legate alla percezione visiva e a come il cervello elabora certe configurazioni.

La tripofobia può essere curata?

Sì, proprio come altre fobie e disturbi d’ansia, la tripofobia può essere gestita efficacemente con la terapia cognitivo-comportamentale e tecniche di esposizione graduale, aiutando a ridurre la reattività emotiva.

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