Psicologia

Perché alcune persone sono più empatiche?

Ma perché, dico io, c’è gente che quando ti vede piangere scoppia a piangere con te, e altra che ti guarda come se avessi appena confessato di rubare i biscotti dalla dispensa a mezzanotte? Non è che vogliamo fare i sofisticati, ma a volte sembra che l’empatia sia distribuita con la stessa equità con cui vengono assegnati i posti migliori al bar all’ora dell’aperitivo. C’è chi la possiede in abbondanza, pronto a mettersi nei tuoi panni anche se questi sono di gomma e puzzano di fango, e chi invece sembra averla lasciata a casa, forse dimenticata tra le chiavi e il portafoglio. Ma cosa c’è dietro questa magia, o questa sfortuna, a seconda dei punti di vista? Scopriamolo insieme, perché capire il perché ci rende un po’ più… empatici.

Neuroni specchio: i tuoi complici silenziosi

Diciamocelo, l’empatia non è magia nera, ma ha qualcosa di magico. E gran parte del merito va a dei signori chiamati neuroni specchio. Immaginate un po’: quando vedete qualcuno che si fa male, una parte del vostro cervello si attiva come se foste voi a sentire quel dolore. Non è che vi si attacca una pantofola sull’occhio, eh, ma sentite una sorta di risonanza. Questi neuroni sono un po’ come degli attori nati, capaci di “imitare” le azioni e, soprattutto, le emozioni degli altri. Sono loro che ci permettono di capire, senza bisogno di grandi spiegazioni, se qualcuno è felice, triste, arrabbiato o annoiato a morte durante una riunione condominiale. La loro efficienza e la loro quantità, udite udite, possono variare da persona a persona. Ecco perché alcuni di noi sono veri e propri “sensori emotivi” umani, pronti a captare ogni sfumatura, mentre altri sono un po’ più… impermeabili.

Il cervello, quel gran commediante

Il nostro cervello, questo organo un po’ complicato che ci fa fare cose meravigliose e altre totalmente assurde, gioca un ruolo fondamentale. Non è solo il quartier generale dei neuroni specchio, ma un vero e proprio direttore d’orchestra delle emozioni. Diverse aree cerebrali lavorano insieme per processare le informazioni emotive che ci arrivano dall’esterno. Pensate alla corteccia prefrontale, quella che ci aiuta a prendere decisioni e a regolare le nostre reazioni, o all’amigdala, la centrale di allarme per le emozioni forti come la paura. Quando queste aree sono particolarmente “sintonizzate” con quelle degli altri, ecco che l’empatia fa il suo corso. Alcuni studi suggeriscono che una maggiore connettività tra queste zone cerebrali possa portare a una maggiore sensibilità empatica. Insomma, un po’ come avere una connessione internet più veloce per captare i segnali emotivi altrui.

Esperienze di vita: la scuola dell’anima

Certo, la genetica e la biologia fanno la loro parte, ma non dimentichiamoci che siamo anche il prodotto delle nostre esperienze. Se sei cresciuto in una famiglia dove le emozioni venivano espresse liberamente, dove si parlava dei sentimenti, dove si era incoraggiati a mettersi nei panni dell’altro, beh, è probabile che tu abbia sviluppato un’empatia più marcata. Al contrario, se sei cresciuto in un ambiente dove le emozioni erano tabù o dove l’indifferenza era la norma, potresti aver avuto meno “allenamento”. Anche le esperienze traumatiche, paradossalmente, a volte possono acuire l’empatia, perché ti fanno capire cosa significa soffrire e ti rendono più sensibile alla sofferenza altrui. È un po’ come imparare a nuotare: più ti butti in acqua, più diventi bravo.

La psicologia ci dice: personalità e temperamento

La psicologia ci offre un quadro ancora più completo, distinguendo tra diversi tipi di empatia. C’è l’empatia cognitiva, quella che ti permette di capire cosa pensa l’altro (un po’ come leggere nel pensiero, ma senza la telecamera nascosta). Poi c’è l’empatia affettiva, che è quella che ti fa sentire le emozioni dell’altro, come se fossero le tue. E infine, l’empatia compassionevole, che ti spinge all’azione per aiutare chi sta soffrendo. Tutte queste sfaccettature possono essere influenzate dalla nostra personalità e dal nostro temperamento innato. Persone più estroverse e aperte all’esperienza tendono a essere più empatiche, ma anche individui più riflessivi e introspettivi possono possedere un’empatia profonda, anche se magari la esprimono in modo più discreto. È come avere diverse sfumature di un colore: tutte valide, tutte belle.

Differenze individuali nell’empatia: un esempio pratico
Caratteristica Persona A (Alta Empatia) Persona B (Bassa Empatia)
Reazione a un amico triste Offre conforto, ascolta attivamente, prova tristezza condivisa. Potrebbe offrire una soluzione pratica, cambiare argomento, o sentirsi a disagio.
Percezione di ingiustizia Si indigna facilmente, prova rabbia o tristezza per le vittime. Potrebbe analizzare la situazione logicamente, o sentirsi meno coinvolto emotivamente.
Capacità di lettura emotiva Indovina facilmente l’umore altrui, anche da segnali minimi. Ha bisogno di segnali più espliciti per capire lo stato d’animo altrui.
Neuroni specchio Maggiore attivazione e connettività. Minore attivazione o diversa modalità di risposta.

Genetica: un pizzico di ereditarietà

E se la colpa (o il merito) fosse scritta nel nostro DNA? Beh, non proprio scrivere, ma c’è sicuramente un filo conduttore genetico. Studi su gemelli e famiglie suggeriscono che una parte della nostra predisposizione all’empatia potrebbe essere ereditata. Ci sono geni che influenzano il funzionamento dei nostri neurotrasmettitori e la struttura del nostro cervello, e questi fattori possono, a loro volta, incidere sulla nostra capacità di connetterci emotivamente con gli altri. Non è una condanna, sia chiaro, ma una sorta di “punto di partenza” biologico. È come ricevere un motore più o meno potente alla nascita: puoi sempre imparare a guidare meglio e a sfruttarlo al massimo, ma la partenza, quella, è già segnata.

Quindi, tirando le somme, perché alcuni di noi sono dei veri e propri calamite emotive e altri un po’ meno? È un mix esplosivo di neuroni specchio che fanno i clown nel nostro cervello, di un cervello che orchestra sinfonie emotive, di esperienze che ci forgiano come scultori, di una psicologia che ci rivela le nostre sfumature, e di un pizzico di genetica che ci dà il “la”. Non c’è una risposta unica, ma un intreccio affascinante di fattori che rendono ognuno di noi un esemplare unico e meravigliosamente imperfetto. E pensare che bastava chiederselo per iniziare a capirci un po’ di più, no? Fateci caso, la prossima volta che vi incrociate con qualcuno che vi fa un sorriso sincero o che vi offre un pacchetto di fazzoletti senza che voi diciate una parola.

Domande frequenti

È possibile aumentare la propria empatia?

Assolutamente sì! Allenare l’ascolto attivo, praticare la mindfulness, mettersi deliberatamente nei panni degli altri e leggere storie che esplorano diverse prospettive emotive sono ottimi modi. È come allenare un muscolo: più lo usi, più diventa forte.

Le persone molto razionali sono meno empatiche?

Non necessariamente. La razionalità e l’empatia non sono nemici giurati. Una persona razionale può imparare a integrare la comprensione emotiva con il suo pensiero logico, sviluppando così un’empatia più equilibrata.

L’empatia è sempre positiva?

L’empatia è uno strumento potentissimo, ma come ogni strumento, può essere usata in modi diversi. L’empatia eccessiva o non gestita può portare al burnout emotivo. L’importante è trovare un sano equilibrio.

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